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Quindicinale a cura dell’Ufficio Stampa del Consiglio Nazionale delle Ricerche
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N. 9 - 6 mag 2020
ISSN 2037-4801
Focus - Ripartenza
A fronte di qualunque epidemia si torna a parlare di igiene, fondamentale per prevenire la diffusione dei parassiti. Il rapporto tra parassiti e sporcizia è un concetto recente, ma non l'idea che la pulizia sia preferibile alla sporcizia. Tutti gli animali a modo loro si tengono puliti, perché quelli che non lo fanno muoiono a causa dei parassiti o di sostanze dannose e, quindi, non lasciano discendenza. Nel corso della storia umana, le diverse culture in tempi diversi hanno sviluppato differenti strategie, modulate dal senso di disgusto, per controllare quella che l'antropologa Mary Douglas chiamava “materia fuori posto”, cioè la sporcizia. Non è vero che i nostri antenati erano sempre sporchi: la ricerca storica dimostra che usavano vari accorgimenti per migliorare l'igiene. Del resto, tutte le religioni hanno sempre raccomandato di tenersi puliti, così come lo facevano i medici. I nostri antenati erano più sporchi di noi, ma la pulizia è sempre stata un tratto apprezzato ed esibito.
A metà Settecento nel continente europeo i processi di urbanizzazione causati della rivoluzione industriale e dallo sviluppo economico e sociale portavano alla nascita di un movimento igienista attento alla struttura demografica e alla salute della popolazione, per diminuire la terribile mortalità, in particolare quella infantile. Nel 1779, un secolo prima delle scoperte microbiologiche, il medico austriaco Johann Frank iniziava la pubblicazione, proseguita fino al 1827, del “Sistema completo di polizia medica”, che segnava la nascita della medicina sociale, nel quale discuteva i temi fondamentali dell'igiene, quali la sanitarizzazione, le forniture di acqua, l'igiene sessuale… Questo movimento, nonostante alcuni successi, era limitato dalla mancanza di un concetto di specificità delle malattie contagiose e di conoscenze metodologicamente fondate sulla loro eziologia. Per gli igienisti le epidemie erano causate da una serie pressoché infinita di fattori diversi: il terreno, l'aria, l'acqua, gli alimenti, i miasmi, i rifiuti, l'urbanizzazione, il lavoro, la sessualità, il comportamento immorale o la cattiva educazione. Per stabilire il ruolo di ognuna di queste cause si facevano esperimenti inconcludenti. Dato che nessuna causa sembrava sicura, e anzi tutte parevano mescolarsi e agire contemporaneamente, l'una favorendo l'altra, nessuna poteva essere trascurata e le misure prese per combattere le epidemie dovevano essere altrettanto varie e numerose. L'efficacia delle misure, in mancanza di obiettivi precisi, era molto scarsa e lo stile di intervento degli igienisti era caratterizzato da una serie di consigli, di statistiche, di rimedi empirici, di precauzioni da assumere e di regole da seguire. La teoria dei miasmi era ritenuta dai medici igienisti più fondata della teoria del contagio, anche perché questa non implicava il blocco degli scambi di merci e del movimento delle persone e dunque dell'economia di mercato.
Con la scoperta che nella sporcizia in generale, ossia nei cadaveri, nell'acqua fognaria, nelle abitazioni sovraffollate, nell'aria e sulla pelle, nel terreno o nelle punture di insetti, si annidano microrganismi invisibili a occhio nudo, scoperta resa possibile dai miglioramenti del microscopio e dei metodi di colorazione, lo scenario cambiò. La dimostrazione che le malattie trasmissibili o contagiose, o le infezioni delle ferite, sono causate da microbi mutava il concetto di malattia, stabilendo un legame univoco con un agente causale vivente esterno all'organismo. Questo determinò un cambiamento degli obiettivi della pratica medica e anche uno spostamento dei suoi luoghi di esercizio. L'igiene divenne davvero “sperimentale” in quanto doveva stabilire dove si annidavano i microbi e come neutralizzarli o impedire che si trasmettessero alle persone. Se in precedenza la cura avveniva in casa o all'ospedale, ora si potevano prevenire le cause patogene nell'ambiente. Per esempio, la vaccinazione si praticava anche in ambulatorio o, più in generale, nelle scuole e nelle caserme. La malattia non riguardava più il singolo, ma le collettività e così l'igiene, anche attraverso il rafforzamento degli studi epidemiologici, portava la medicina nella sfera di interesse delle scienze sociali e, quindi, di quelle economiche.
Gilberto Corbellini
Fonte: Gilberto Corbellini, Dipartimento di scienze umane e sociali e patrimonio culturale del Cnr, Roma, tel. 06/49932657 , email direttore.dsu@cnr.it -