Ultima edizione | Archivio giornali | Archivio tematico | Archivio video
Quindicinale a cura dell’Ufficio Stampa del Consiglio Nazionale delle Ricerche
Archivio
N. 1 - 13 gen 2021
ISSN 2037-4801
Focus - Macchine
La presentazione al pubblico di una nuova autovettura costituisce un evento paragonabile alle sfilate delle nuove collezioni di moda: si potrebbero definire “cronache di un'autovettura pre-annunciata” per il largo anticipo con cui vengono inseguite dalla stampa specializzata non solo le notizie, ma anche le prime immagini. Per l'autovettura è necessario infatti coniugare stile e tecnica, forma e sostanza, soluzioni progettuali che traducano in realtà la creatività del car designer. Di solito gli ingegneri che si occupano della realizzazione del prodotto automobilistico devono collaborare con il disegnatore. Ultimamente, il forte impatto estetico delle nuove, smaglianti “concept car” rende questo dialogo più serrato, ricco di sfide e nuove criticità.
“La contrapposizione tra innovazione tecnologica e innovazione design-driven assume connotazioni distintive in ambito automobilistico”, spiega Giuseppe Giulio Calabrese dell'Istituto di ricerca sulla crescita economica sostenibile (Ircres) del Cnr ed editor in chief dell'International Journal of Automotive Technology and Management. “La concezione industriale dello stile nacque prima della Seconda guerra mondiale negli Stati Uniti con Alfred Sloan, che introdusse in General Motors il concetto di obsolescenza pianificata, intuendo che lo stile sarebbe diventato uno degli elementi più importanti e aggressivi nella promozione delle vendite. Nacquero i primi centri-stile dell'industria automobilistica, con il compito di pianificare il rinnovamento estetico dei prodotti. Ogni uno o due anni il modello subiva un face lifting e restyling e ogni lustro, indipendentemente dalla situazione delle vendite, il modello veniva sostituito. Tale sistema, se da un lato consentì alla General Motors di diventare una delle più grandi e profittevoli imprese industriali, dall'altro, per i continui cambiamenti, portò al lancio commerciale di non poche degenerazioni concettuali”.
In Europa invece ci si concentrò sia sull'innovazione tecnologica sia sulla valenza estetica, in quanto la durata del modello veniva vista come un elemento di successo. “Alcuni casi sono esemplificativi: la Mini Minor fu lanciata nel 1959 e rimase in produzione fino al 2000; la prima Fiat Panda è stata prodotta per più di 20 anni; la Porsche 911, che fu prodotta dal 1963 al 1998, ha superato nelle vendite tutti i successivi modelli e ha registrato il maggior successo l'anno precedente la sua dismissione”, sottolinea Calabrese.
In generale, a partire dagli anni Sessanta, si cominciò ad assistere a una progressiva “retrocessione” del design dell'auto come elemento di esclusività ed estetica a favore di sistemi che permettevano di ottenere una costruzione più compatta, più rigida, più economica. “In molti casi , più adatta alle esigenze di un autoveicolo, con l'eccezione dei fuoristrada”, aggiunge il ricercatore del Cnr-Ircres. Negli anni Settanta le crisi petrolifere imposero anche negli Usa un ripensamento più funzionale dell'automobile. “Lo stilismo sterile lasciò spazio al design, ovvero a un approccio di progettazione della forma dell'automobile più consapevole. In quegli anni si cominciò a parlare di accessibilità, aerodinamica, ergonomia”.
Negli anni successivi, i mutamenti in questo settore non furono solo rapidi, ma richiesero anche un intenso apporto innovativo, in cui tecnologia e design si integrarono maggiormente anche per il cambiamento delle norme di sicurezza, divenute più severe. “Il rispetto dei requisiti tecnici ha comportato l'impossibilità di modificare la struttura portante, limitando l'attività di re-intervento solo al pannello esterno, lasciando la struttura di base e le proporzioni praticamente immutate”, continua Calabrese. La costruzione di un nuovo modello esige investimenti consistenti che esercitano un'influenza sensibile sul prezzo di vendita. Questo ha inciso ulteriormente sulla varietà stilistica e la differenziazione dei modelli. “Procedere a studi di stile comparati per offrire una più vasta possibilità di scelta costa relativamente poco in rapporto ai costi degli investimenti. E questa era una delle ragioni per cui, quando i grandi costruttori automobilistici studiavano nuovi modelli, coinvolgevano anche le società di design indipendenti, in modo da avere una vasta gamma di proposte tra le quali effettuare la scelta. Oggi, per ottenere una diminuzione dei costi, i costruttori automobilistici hanno razionalizzato i loro progetti in modo da utilizzare un pianale unico per diversi modelli e perseguire maggiormente economie di scala: in taluni casi si è arrivati a produrre fino a otto modelli di vetture con la stessa piattaforma di base. Ultimamente, molti costruttori automobilistici hanno internalizzato i servizi di progettazione oppure acquisito i centri-stile indipendenti, sviluppando internamente design e stile. Alcuni di questi stilisti erano anche assemblatori-carrozzieri. Alcuni dei loro elementi caratteristici, come la carena e la grata del radiatore, sono stati adottati dai costruttori di autoveicoli come propri elementi distintivi del marchio”.
Intanto, marchi storici italiani come Bertone e ultimamente Pininfarina sono scomparsi e anche le altre imprese del design dell'auto sono state assorbite, come Italdesign. Ci si chiede quale futuro prossimo si prospetti per l'industrial design e l'ingegneria automobilistica. “In generale, al di fuori dei grandi gruppi industriali, non hanno più futuro perché le case si sono organizzate in modo tale da non aver più bisogno di cercare all'esterno queste competenze. In questo modo si è dispersa una capacità creativa incredibile, in Italia e soprattutto nel territorio torinese dove molte di queste imprese avevano sede operativa. I grandi gruppi hanno ormai maturato un concetto di stile esclusivamente funzionale e logico per l'estetica. Sono poco interessate a sviluppare progetti ingegneristici arditi, l'importante è realizzare auto standardizzate, che vadano bene e che abbiano un vero potenziale di grande utilizzo sul mercato. Ne sono un esempio le vetture elettriche e quelle ibride: non possono più essere definite studi per il futuro, perché appartengono già alla realtà attuale”, conclude Calabrese. “Fino a pochi anni si riteneva che questi nuovi sistemi di propulsione sarebbero stati accompagnati da una rivoluzione anche nell'architettura dei veicoli, perché era necessario ridefinire e ottimizzare spazi e forme esterne, dato che non si trattava unicamente di un cambiamento di propulsione, ma di un radicale ripensamento dell'oggetto automobile. Tutto ciò non è avvenuto e le vetture elettriche o sono versioni con il solo cambio della motorizzazione oppure sono modelli che non si differenziano assolutamente da quelli a combustione interna. Le speranze di una nuova e significativa influenza dello stile complessivo nell'auto risiedono nella guida autonoma, che porterà a un presumibile ripensamento, soprattutto degli spazi interni”.
Luisa De Biagi
Fonte: Giuseppe Giulio Calabrese, Istituto di ricerca sulla crescita economica sostenibile , email giuseppe.giulio.calabrese@ircres.cnr.it -