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Quindicinale a cura dell’Ufficio Stampa del Consiglio Nazionale delle Ricerche
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N. 4 - 24 feb 2021
ISSN 2037-4801
Focus - Distopia
Sono oltre 7.000 le lingue utilizzate nel mondo, una babele di suoni e segni che nascono, crescono e talvolta si perdono, accompagnando culture e storie di popoli e civiltà. L'inglese ha da tempo raggiunto un grado di diffusione significativo a livello mondiale. Apparentemente semplice e immediata è diventato un passepartout tra confini e nazioni, facendo impallidire il sogno dell'esperanto che tanto aveva appassionato l'oculista polacco nome Ludwik Lejzer Zamenhof alla fine dell'800. Dando un'occhiata ai numeri pubblicati sul sito di Ethnologue della Sil International, l'organizzazione no-profit al servizio delle comunità linguistiche del mondo, se ne ricava un'impressione quasi ipnotica. In Europa, sono 289 le lingue parlate, di cui 52 oramai in fase di estinzione, a fronte di 2.206 attualmente utilizzate in Asia, con un picco nel Sud-Est Asiatico; nel continente americano le lingue vive superano di poco il migliaio, la maggior parte in America Centrale e America del Sud; l'Africa contende il primato all'Asia, con i suoi 2.140 idiomi parlati. Un Atlante delle lingue in pericolo è pubblicato in rete dall'Unesco.
“Ogni lingua storica è il prodotto della continua rinegoziazione di un'eredità trasmessa, non solo il mezzo privilegiato dell'interazione, ma un potente strumento di auto-rappresentazione”, spiega Mariafrancesca Giuliani dell'istituto Opera del vocabolario italiano (Ovi) del Cnr. “Chi ha più forza e prestigio fa prevalere il proprio idioma, irradiando la propria cultura. Le lingue non sono organismi autonomi ma prodotti sociali: alcune perdono vitalità in quanto non più trasmesse di generazione in generazione, altre sono bruscamente messe a tacere, emarginate e sostituite dalle lingue imposte da gruppi dominanti, si pensi al caso della lingua basca proibita in Spagna durante l'epoca franchista”.
Più diffusamente e in maniera meno traumatica le lingue risentono della molteplice fenomenologia del contatto, incorporano contaminazioni. “Il successo e la resistenza del prestito dipende dal valore sociale e culturale attribuito all'idioma che presta. In alcuni casi è un'opzione lessicale alternativa che s'insinua nelle pratiche comunicative di specifici gruppi sociali; in altri casi è il cosiddetto prestito di necessità recepito per definire referenti per cui la lingua nativa non dispone di termini corrispondenti”, continua la ricercatrice. Soprattutto oggi dove la velocità dei contatti non dà alla lingua il tempo di evolvere e la espone a “prestiti” subiti. “Ciò vale anche e soprattutto per l'attività scientifica, sempre più orientata verso approcci e scenari internazionali. L'inglese si è imposto come un'unica lingua ideale, ma è corretto recidere ogni rapporto con una tradizione scientifica plurilingue? L'ultimo bando del Miur dedicato ai Progetti di ricerca di rilevante interesse nazionale impone alle università e agli enti di ricerca l'utilizzo esclusivo dell'inglese per la presentazione dei progetti e delle domande di finanziamento. La scelta è stata contestata da istituzioni del calibro dell'Accademia della Crusca, che si è espressa a favore della difesa e promozione dell'italiano come lingua della ricerca e della didattica universitaria”.
L'inglese sembra quindi marciare a pieno ritmo verso il paradigma di una lingua unica, sotto forma di Globish, un idioma così semplice da risultare sgrammaticato, parlato da stranieri non anglofoni per comprendersi tra loro. Portatore di un'idea di modernità e velocità, con un dizionario di circa 1.500 parole usate liberamente, sta invadendo il mondo delle videoconferenze, penetrando i dialoghi di lavoro, assicurando le poche frasi di rito del viaggiatore e strizzando l'occhio all'immenso mondo del web. Criticato e ghettizzato dai puristi, particolarmente apprezzato per i vantaggi di una sintassi semplice.
“Ricordiamo che preservare e incentivare l'utilizzo e la capacità comunicativa di una varietà linguistica, sia essa una lingua standard o una varietà minoritaria, è una delicata operazione di politica culturale. La diversità linguistica del presente e del passato è un bene da salvaguardare attraverso la conoscenza”, conclude Giuliani.
Maria Teresa Orlando
Fonte: Mariafrancesca Giuliani, Istituto opera del vocabolario italiano, Firenze , email giuliani@ovi.cnr.it -