Ultima edizione | Archivio giornali | Archivio tematico | Archivio video

CNR: Alamanacco della Scienza

Archivio

N. 2 - 7 feb 2018
ISSN 2037-4801

Focus - Le parole della scienza  

Ambiente

Lo sciame che fa tremare

Quando la Terra trema e le scosse sembrano non finire, ecco tornare alla ribalta termini scientifici e modi di dire, non sempre appropriati, per spiegare cosa stia accadendo. Un'espressione di indubbio successo è 'sciame sismico', entrato oramai a far parte del vocabolario comune. Ma cosa indica di preciso?

"Lo sciame sismico è caratterizzato da terremoti generalmente di lieve e media intensità che si sviluppano in una determinata zona e in un arco di tempo variabile, senza che un terremoto di magnitudo più forte abbia dato inizio all'attività”, spiega Alessandro Amato, dirigente di ricerca dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv). “Le scosse possono durare anche diversi mesi, senza poter definire con certezza la durata e gli intervalli di tempo tra un evento sismico e l'altro”.

Ripreso dall'inglese 'seismic swarm'lo sciame è stato definito per la prima volta negli anni '60 da alcuni sismologi giapponesi, quali Kiyoo Mogi e Tokuji Utsu. “Il termine 'sciame' viene comunemente usato per indicare un folto gruppo di insetti, in particolare di api, o più generalmente una moltitudine di animali, individui o cose che si muovono insieme. In ambito sismologico, rappresenta per analogia un addensamento spazio-temporale di terremoti”, prosegue Amato.

Non va, però, confuso con le 'scosse di assestamento' che, solitamente, seguono un evento iniziale di maggiore intensità (main shock), né tanto meno è da usare in alternativa al generico 'sequenza sismica', di cui lo sciame costituisce una tipologia particolare. “La 'sequenza sismica' è caratterizzata da una scossa principale, seguita da repliche più piccole, 'aftershock', localizzate nella stessa area e in un certo intervallo temporale, che generalmente diminuiscono di numero e di magnitudo, secondo la formula empirica scoperta dal sismologo giapponese Fusakichi Omori nel 1894 durante la sequenza sismica legata a terremoto di Nobi del 1891”, chiarisce Paolo Messina, direttore dell'Istituto di geologia ambientale e geoingegneria (Igag) del Consiglio nazionale delle ricerche.

Ma a cosa è dovuto uno sciame sismico? “Le cause sono da ricondurre alle caratteristiche geologiche dell'area in cui si manifesta”, avverte Messina. “Nelle aree vulcaniche le scosse sono generalmente da ricollegare alla risalita di magma verso la superficie. Nelle zone sismiche di catena, come quella alpina o appenninica, invece, nell'assetto geologico e strutturale del sottosuolo. Le modalità di rilascio dell'energia che avviene all'ipocentro, generalmente tra 8 e 15 chilometri di profondità nelle zone sismiche italiane, sono poi differenti nel caso di terremoti distruttivi (rilascio istantaneo) mentre nel caso degli sciami il rilascio avviene gradualmente nel tempo”.

L'energia rilasciata da tanti piccoli terremoti è di gran lunga inferiore a quella di un evento distruttivo: “La convinzione che uno sciame sismico indichi con certezza l'approssimarsi di un evento distruttivo non è scientificamente attendibile. Nella stragrande maggioranza dei casi, anzi, il fenomeno si esaurisce gradualmente nel tempo”, continua il direttore dell'Igag-Cnr. “Nonostante ciò, la presenza di uno sciame non allontana la possibilità che si possa verificare un forte terremoto nella stessa area, come nel caso del terremoto abruzzese del 2009”.

L'Italia ha una lunga storia di sciami sismici. “Da ricordare quelli della zona della Garfagnana-Lunigiana che hanno prodotto una scossa di magnitudo massima di 4,8 nel periodo 2013-2014 e quelli legati a fenomeni vulcanici nella zona dell'Etna, del Vesuvio e dei Campi Flegrei”, conclude Messina.

Silvia Mattoni

Fonte: Alessandro Amato, Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia , email alessandro.amato@ingv.it - Paolo Messina, Istituto di geologia ambientale e geoingegneria, tel. 06/90672595 , email paolo.messina@cnr.it -