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CNR: Alamanacco della Scienza

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N. 16 - 9 set 2020
ISSN 2037-4801

Faccia a faccia

Almanacco della Scienza CNR -->Luca Mazzone: dalla disabilità una nuova vita

Luca Mazzone: dalla disabilità una nuova vita

Luca Mazzone è nato nel 1971 a Terlizzi (Ba). A 19 anni, a seguito di uno sfortunato tuffo, urta contro uno scoglio e perde l'uso delle gambe. L'acqua però gli offre una seconda possibilità: grazie al nuoto, intraprende la vita da sportivo e incontra l'amore. Dopo una breve pausa dall'attività agonistica per dedicarsi alla famiglia, si cimenta anche nell'handbike, specialità in cui trova la sua dimensione come atleta di fama mondiale e come portavoce di un chiaro messaggio: la disabilità non può e non deve essere un ostacolo. Durante la sua carriera sportiva ha vinto due medaglie d'argento nel nuoto alle Paralimpiadi di Sydney del 2000, mentre con l'handbike ha conquistato due ori e un argento alle Paralimpiadi di Rio de Janeiro, singolarmente e nella staffetta mista con Alex Zanardi e Vittorio Podestà, e svariati titoli mondiali.

Lei non nasce disabile, lo diventa per un incidente. Ci si chiede spesso se e quale differenza ci sia tra le due condizioni

Me lo sono chiesto tante volte e credo che assaporare la condizione di normodotato per un periodo della propria vita ti fa sentire ancora di più la differenza. Chi diventa disabile deve avere una maggiore forza d'animo. Questo è il mio pensiero, poi ognuno è un caso a sé. Succede spesso di sentire ragazzi che, dopo il trauma, cadono in depressione, non vogliono uscire di casa e non vogliono reagire. Anche io il primo giorno ho faticato ad accettare tutto questo, ma poi mi sono rimboccato le maniche e ho cercato di potenziare quello che avevo e di vivere davvero la mia vita.

Il suo incidente invalidante è un tuffo. Quasi paradossalmente, decide di dedicarsi al nuoto paralimpico. È casuale o è una dimostrazione di forza di volontà, di sfida?

È stata una casualità, ma anche una sfida al destino. Trent'anni fa in Puglia, dove sono nato, non c'erano tante possibilità di fare sport paralimpico. Il destino ha voluto che davanti casa mia, tre anni dopo il mio incidente, aprisse una piscina. L'unico sport che potevo particare senza carrozzina e senza ausili era il nuoto, che mi dava quella libertà che avevo prima. Prima dell'incidente giocavo a pallone, andavo in palestra, andavo in bici, ho fatto anche box, ma per tramutare questi sport in discipline paralimpiche mi serviva un attrezzo tecnico, mentre il nuoto pone tutti sullo stesso livello. Solo che invece di usare gambe e braccia usi solo le braccia.

Chi l'ha aiutata a intraprendere la carriera sportiva?

A dire la verità all'inizio non mi ha ispirato nessuno. Ho sempre voluto una vita da sportivo, sia prima che dopo l'incidente. Poi nel 1996, alle Paralimpiadi di Atlanta, ho visto in televisione Luca Pancalli e lui mi ha dato la spinta per passare all'agonismo.

Quanto e come è cambiata la disabilità dai suoi esordi a oggi?

Nel mondo della disabilità si sono fatti molti passi avanti, anche se in alcuni contesti non è mancato qualche passo indietro. Le offerte tecnologiche per avere una maggiore autonomia sicuramente sono aumentate, penso alle carrozzine ultraleggere in carbonio e a tutti gli ausili per fare sport. Quando ho cominciato a praticare sport da disabile ancora non c'era l'handbike, è un'attività sportiva che è iniziata dopo. Sono attrezzi che costano molto e non tutti possono permetterseli. Oggi raggiungiamo performance che dieci anni fa erano impensabili.

Svolge molta attività a contatto con gli studenti, quale messaggio cerca di trasmettere loro?

Quello che faccio è semplicemente raccontare la mia vita e quello che sono. Cerco sempre di far capire a chi mi ascolta che non ho studiato, non ho preso una laurea per dire quello che dico, ma che racconto quello che ho vissuto. Sono un semplice testimone della mia esperienza di vita, che non vuole insegnare niente a nessuno. Chi mi ascolta, se vuole, può prendere le mie parole come insegnamento, al di là della questione disabilità, se vive un momento difficile, e reagire. Da ragazzo non accettavo le persone che mi imponevano le cose, ma ricordo che mi piaceva chi mi faceva capire attraverso il proprio vissuto. Così apprendevo. Voglio trasmettere il messaggio che quando ci sono delle avversità ci si deve dare da fare e non aspettare che le cose si risolvano da sole o con l'aiuto esterno. Il primo a lottare devi essere tu

Nel frattempo si è anche diplomato.

Nel 2008, dopo le Paralimpiadi di Tokyo, ho deciso di tornare a scuola. Volevo cercare un lavoro e allargare la famiglia: il nuoto mi prendeva troppo tempo. Ho voluto conquistare un'altra medaglia: mio figlio. La pensione da disabile civile, con una famiglia alle spalle, purtroppo non permette di vivere in maniera sicura e degna, così ho ripreso a studiare per ampliare le mie possibilità di lavoro. La sfortuna, o la fortuna, ha voluto che quando mi hanno chiamato dall'ufficio di collocamento ero tornato alla vita sportiva e avevo appena vinto con l'handbike.

Perché è passato dal nuoto alla bicicletta?

Per una serie di motivi, tutti riguardanti il mio obiettivo principale: il benessere fisico. Dopo aver deciso di interrompere il nuoto per prendere il diploma mi sono visto cambiato nel corpo e nella mente. Dopo tre anni il mio fisico scattante, soprattutto nella vita quotidiana, si era impigrito. Avevo questa handbike in garage che usavo nei periodi di chiusura della piscina e ho iniziato a pedalare, anche stavolta per caso. Da lì ho deciso di partecipare alla maratona di Firenze, di Roma e mi sono ritrovato a essere contattato dal tecnico della nazionale. L'handbike è uno sport dalla grande fatica, ma dà anche enormi gratificazioni, che il nuoto non mi ha mai regalato. E ho intenzione di continuare fino a quando il mio fisico e la mia mente diranno basta. Penso che il rapporto umano nello sport conti molto, non solo con i compagni di squadra anche con tutto lo staff: nutrizionisti, meccanici… È il rapporto con le persone che ti fa vincere prima di tutto. La bellezza della squadra è che, anche quando uno taglia il traguardo da solo, tutti si sentono partecipi, ci si aiuta tutti. Anche vedere le persone che sui social sono fieri di te è una soddisfazione quadrupla, anzi quintupla.

A causa della pandemia tutte le competizioni sportive sono state rimandate, come vive questo periodo?

Mi alleno tutti i giorni. Dobbiamo essere ottimisti e pensare che l'anno prossimo le Olimpiadi si terranno. Con il nostro ottimismo dobbiamo dare speranza a tanta gente che ci segue, che tifa per noi e ci vede come un punto di riferimento.

Cosa pensa del contributo offerto dall'innovazione al miglioramento delle condizioni di vita delle persone disabili?

Il progresso scientifico e tecnologico ci ha reso ancora più autosufficienti. Penso alle nostre handbike, che sono diventate dei gioielli, ai lettori ottici per chi ha la Sla. Passi in avanti se ne sono fatti, la speranza è che la ricerca scientifica riesca a trovare cellule staminali per debellare definitivamente la mia condizione e quella di tanti altri. Ma questo è un sogno che vivo da trent'anni. Spero che per le generazioni future diventi una realtà.

Prima dell'incidente che progetti aveva? Come si riescono a fare i conti con un'invalidità permanente con la forza e la serenità che lei trasmette?

A 19 anni lavoravo saltuariamente, ma non avevo molti progetti. L'incidente mi ha cambiato la vita. Lo sport mi ha insegnato più la forza mentale che quella fisica e da lì ho cominciato a costruire la mia vita. Spero che anche altri atleti abbiano l'occasione di trasformare lo sport in un lavoro permanente. Io, finito tutto questo, tornerò a vivere con la pensione di invalidità da disabile civile. E non è giusto: ho dato tanto alla nazione, allo sport e credo che chi in futuro si troverà nella mia condizione meriti un lavoro nelle forze armate.

Ha vinto un oro anche nella staffetta, con Podestà e Zanardi. Ci ricorda quella gioia?

Con loro ho vissuto gioie indescrivibili. Alla fine, nell'ultima gara a Rio, ci siamo abbracciati forte. Quella è un'immagine che non dimenticherò mai per tutta la vita. Penso che il mio amico Alex in questo momento mi direbbe di andare avanti, di non fermarsi mai e di dare il buon esempio a tutti quei ragazzi a cui ancora oggi capitano gli stessi incidenti che sono successi a noi. Mi direbbe di continuare a dare un messaggio di rinascita. Anche con una disabilità si possono conoscere tante persone e si può apprezzare la vita in pieno, che è così bella.

Francesco Pieri