Ultima edizione | Archivio giornali | Archivio tematico | Archivio video

CNR: Alamanacco della Scienza

Archivio

N. 13 - 1 lug 2020
ISSN 2037-4801

Recensioni

La strada smarrita dello sviluppo italiano
Saggi

La strada smarrita dello sviluppo italiano

Tra il 1861 e il 1871 sette diversi regni erano confluiti nello Stato italiano, che riuniva in sé fortissime disuguaglianze non solo sul piano geografico e del territorio, ma anche a livello culturale e del reddito. L'aspettativa di vita si aggirava intorno ai trent'anni e la maggior parte degli italiani non riceveva più di un anno di istruzione formale, oltre a doversi adattare a un'esistenza condotta sotto la soglia di povertà. Nel 2007, un secolo e mezzo dopo, il Pil pro capite è circa dodici volte maggiore, la vita media triplicata, le morti in culla non raggiungono i numeri esorbitanti della fine del XIX secolo, l'analfabetismo è sostanzialmente sradicato e la mobilità sociale ha livelli prima impensabili. Un processo di crescita straordinario cui hanno partecipato tutte le regioni e che ha fatto dell'“Italietta” dell'Ottocento - che non riusciva a capire se fosse la prima delle piccole potenze o l'ultima delle grandi - l'Italia in grado di garantire un reddito per abitante pari al Regno Unito. Quali fattori hanno reso possibile l'allineamento italiano dell'Italia con le maggiori potenze europee?

Da questi interrogativi partono Carlo Bastasin e Gianni Toniolo, rispettivamente senior fellow e docente alla Luiss di Roma, per ripercorrere la storia economica del nostro Paese in “La strada smarrita” (Laterza). Leggendo il testo si scopre come il trentennio di lenta crescita economica post-unitaria sia stato spesso indagato cercando le cause di questa trasformazione in singole macro-variabili che da sole non risultano sufficienti a spiegare il fenomeno. Alla base della propulsione risorgimentale alla crescita economica è invece un'ampia serie di fattori che ha avuto come teatro un unico grande mercato, laddove prima vi era la compresenza di sette mercati separati.

Il percorso tracciato da Bastasin e Toniolo affronta subito la prima grande divergenza nota come “questione meridionale”. Il ristagno dell'economia del neonato Stato dipese molto dalle disomogeneità territoriali, oltre che dalle debolezze politiche e istituzionali, tuttavia già agli inizi del nuovo secolo si verificò una crescita sorprendentemente veloce, soprattutto se rapportata alla lentezza che aveva caratterizzato la fine dell'Ottocento. Gli autori ci guidano attraverso una sorta di rincorsa italiana ai “primi del mondo”, che partì dall'aggancio alla prima globalizzazione e, attraverso la politica monetaria e del lavoro dell'età giolittiana e grazie ai miglioramenti in campo sociale e igienico-sanitario, ci portò nel 1913 a un rapporto debito/Pil di poco inferiore a quello degli Stati Uniti.

Seguendo gli autori attraverso la cosiddetta “età dell'oro della convergenza”, che caratterizzò il periodo dal secondo dopoguerra fino agli inizi degli anni Novanta e che fu possibile grazie a una combinazione tra collaborazione politica nazionale, piano Marshall, trionfo dei beni di consumo e all'emancipazione femminile, giungiamo alla battuta di arresto del 1992. Quell'anno fu un “passaggio fatale per il Paese […] una traumatica cesura rispetto alla storia dei due decenni precedenti caratterizzati dal faticoso ancoraggio della lira alla stabilità monetaria europea, dalla tolleranza sia per l'inflazione sia per il crescente debito pubblico; e dai rapporti più che compromissori tra le maggiori imprese, sia pubbliche sia private, e la classe politica italiana”.

Le ripetute crisi del 1992 aprirono la strada a una risposta in termini di stabilità che si concretizzò nel “saldo ancoraggio finanziario al quadro europeo attraverso la conferma del processo di unione monetaria. Il primo gennaio 1994 aveva preso avvio la seconda delle tre fasi dell'Unione economica e monetaria, come previsto dal Trattato di Maastricht”. Così, dopo un excursus su cosa effettivamente fu l'entrata dell'Italia nell'euro, attraverso svalutazioni, incertezze, privatizzazioni e ristrutturazione del capitalismo italiano, Bastasin e Toniolo riflettono sui benefici effettivi che la moneta unica ha portato, ma che sono stati colti solo a metà: guardandoci indietro, vediamo “un Paese che non ha colto l'opportunità offerta da decenni di vigorosa crescita per risolvere difetti antichi che oggi più di ieri ne frenano lo sviluppo, non solo economico”.

Ci spiegano a tal proposito gli autori che proprio nel periodo tra il 2008 e il 2013 si ebbe la crisi più grave mai vista in tempo di pace: tra il 2007 e il 2010 il Pil italiano è diminuito del 6,5 per cento per poi riprendersi leggermente nel biennio successivo e calare nuovamente a picco nel 2013. “Nonostante gli sforzi, l'economia italiana non è riuscita a recuperare gli shock subiti tra il 2008 e il 2012. Nel periodo successivo al 2007 gli investimenti di capitale sono calati rispetto alla media dell'area euro proprio nei settori più importanti: i macchinari e quelli in prodotti della proprietà intellettuale (Pri) che comprendono la ricerca e sviluppo e il software”.

E oggi? Potremmo farci prendere dallo sconforto, osservando un Paese che ha smesso di crescere e che non ha risolto alcune ragioni della sua arretratezza, tuttavia osserviamo che l'Italia ha sedimentato, nel corso della sua storia economica, un patrimonio che potrebbe ancora allargarsi, date alcune condizioni favorevoli, e costituire la base di un nuovo sviluppo.

Manuela Discenza

titolo: La strada smarrita
categoria: Saggi
autore/i: Bastasin Carlo, Toniolo Gianni
editore: Laterza
pagine: 151
prezzo: € 16.00