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Mensile a cura dell’Ufficio Stampa del Consiglio Nazionale delle Ricerche
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N. 11 - 6 nov 2019
ISSN 2037-4801
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Il tema del rapporto tra percezione e realtà non conosce certo flessioni di interesse, basta scorrere l'elenco di titoli, articoli, pubblicazioni sul tema. Nel solo 2019, l'editore Raffaello Cortina ha, tra gli altri, dato alle stampe tre volumi legati all'argomento in modi diversi.
Il filosofo John R. Searle, emerito dell'Università della California di Berkeley, ha raccolto nel volume “Il mistero della realtà” un ciclo di lezioni tenute a Girona nel 2015 in cui espone, indaga e confuta i due errori principali che impediscono una visione adeguata: naturalizzare la coscienza fino a negarne l'esistenza e affermare che tutta la realtà sia una costruzione sociale. “I tradizionali modi in cui la nostra cultura intellettuale distingue tra natura e cultura, tra realtà naturale e realtà mentale (culturale e sociale) sono radicalmente sbagliati […] l'etica, il linguaggio, la società e la coscienza fanno parte della natura tanto quanto la fotosintesi e l'attrazione gravitazionale”. Secondo Searle, la realtà è una, per quanto si possa distinguere tra relazioni causali, indagate dalle scienze naturali, e relazioni costitutive che sono alla base di gran parte della realtà umana: come accade per esempio “Quando in un'assemblea si effettua una votazione per alzata di mano, l'alzare la mano non è causa del votare; esso semplicemente costituisce il votare”.
Nella sua ricerca del rapporto tra i livelli del reale l'autore ripercorre il tragitto genetico che va dalle particelle originarie allo sviluppo della vita, della coscienza, del linguaggio e della realtà istituzionale. Rilevando in tutte le realtà un margine di incertezza: “Ci sono parti della natura che sono non deterministiche? La risposta è: sì. La meccanica quantistica non è deterministica […] si può predire ciò che accadrà in termini di probabilità, ma non lo si può predire con certezza”.
Lo stesso passaggio dal semplice al complesso, Michael S. Gazzaniga lo compie circoscrivendolo a uno specifico aspetto, la relazione tra il cervello e la mente, dando la sua risposta in un volume dal titolo significativo “La coscienza è un istinto”. Gazzaniga, direttore del Sage Center for the Study of the Mind dell'Università di Santa Barbara, riprende un dibattito partito con Cartesio “non più di tre secoli or sono […] ma le due grandi alternative in gioco - la mente intesa come un aspetto intrinseco del meccanismo cerebrale e la mente concepita come un'entità in qualche modo indipendente dal cervello - risalgono alla notte dei tempi. E non ce ne siamo ancora sbarazzati”. La tesi dell'autore che la coscienza sia un istinto, pur stemperata dall'ammissione che tutti gli istinti “sono come le democrazie: facili da definire, difficili da localizzare”, cerca di dare una risposta alla straordinaria difficoltà di stabilire in che modo 89 miliardi di neuroni si connettano tra loro per generare le operazioni che compiamo ogni giorno. La robustezza del sistema di connessioni neurali sembra basarsi sulla presenza di molti più collegamenti di quelli necessari, poiché con lo sviluppo vengono via via eliminati quelli superflui; ma può succedere che la potatura sia eccessiva e che questo rappresenti la fragilità del sistema.
Citando altri autori come John C. Doyle e William James, nonché concetti come l'organizzazione stratificata del cervello e la facoltà dell'esperienza cosciente di proseguire anche in caso di lesioni cerebrali, tutto il saggio sembra deporre a favore della definizione della coscienza come istinto, cioè come capacità di produrre dei fini che non sono preconosciuti, anche in caso di sequenze coordinate e azioni complesse. Anzi, proprio “la successione a valanga di quelle sequenze è ciò che chiamiamo coscienza”. Insomma: potremo sapere cosa è la coscienza ma non prevederne il funzionamento, studiare l'encefalo ma non stabilire come si comporterà domani. Un pessimismo di fondo anima Gazzaniga, portandolo a prevedere il fallimento degli studi sull'intelligenza artificiale e l'impossibilità di scoprire a che cosa serve davvero un organo.
Un analogo scetticismo, secondo il quale siamo più ignoranti di quanto crediamo e secondo cui “L'intelligenza risiede nella comunità e non in un qualsiasi individuo”, ancor più ora che possediamo Internet, lo si ravvisa ne “L'illusione della conoscenza” di Steven Sloman e Philip Fernbach. Gli autori riportano esperimenti condotti in America e in Europa nei quali si evidenzia che percentuali molto basse di persone sono in grado di rispondere correttamente a quesiti anche elementari di scienza e che neppure gli scienziati conoscono il mondo come potremmo pensare. Solo i bambini capiscono implicitamente la complessità delle cose, ossia le spiegazioni fanno sorgere altre domande.
Internet è diventato così accessibile che nelle nostre società chiunque è potenzialmente in grado di improvvisarsi esperto in numerosi ambiti; le applicazioni di crowdsourcing come Wikipedia hanno creato le comunità di conoscenza più ampie di sempre. Eppure questo non basta a debellare i pregiudizi che ampi gruppi di popolazione continuano ad avere nei confronti della scienza: pensiamo agli atteggiamenti negativi nei confronti di Ogm e vaccini. “Solo in pochi casi chiedere a persone di spiegare la propria posizione serve a far loro ridimensionare la sopravvalutazione della propria conoscenza e cambiare posizione”.
Manuela Discenza
titolo: Il mistero della realtà
categoria: Saggi
autore/i: Searle John R.
editore: Raffaello Cortina
pagine: 297
prezzo: € 26.00
titolo: L'illusione della conoscenza
categoria: Saggi
autore/i: Sloman Steven , Philip Fernbach
editore: Raffaello Cortina
pagine: 315
prezzo: € 26.00
titolo: La coscienza è un istinto
categoria: Saggi
autore/i: Gazzaniga Michael S.
editore: Raffaello Cortina
pagine: 311
prezzo: € 28.00